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contratto a tempo determinato - legge 16 maggio 2014, n. 78 – Ministero del lavoro, circolare 30 luglio 2014, n. 18.

A seguito delle novità introdotte dal decreto legge n. 34 del 2014 (c.d. jobs act), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 78 del 2014 (cfr. nostre circolari n. 87 e n. 110 del 2014), il Ministero del lavoro ha fornito alcuni orientamenti interpretativi in materia di contratto a tempo determinato.

 

Se ne riassumono le principali indicazioni, ricordando che l’accordo 16 giugno 2014 siglato da Federalberghi, Faita e dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori ha recepito le novità legislative in tema di contratto a tempo determinato adattandole alle esigenze delle aziende del settore (cfr. nostra circolare n. 149 del 2014).

 

Pertanto, con riferimento al settore turismo, le indicazioni ministeriali vanno lette ed integrate alla luce del citato accordo 16 giugno 2014, che ha dettato disposizioni più favorevoli per le imprese, di cui beneficiano unicamente le imprese che applicano il CCNL Turismo 18 gennaio 2014.

 

 

generalità

 

II decreto legge n. 34, modificando l'articolo 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001, consente l'apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato (anche nell'ambito di una somministrazione a tempo determinato) senza alcun obbligo di indicare le ragioni giustificatrici di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo purché il singolo rapporto, comprensivo di proroghe, non superi i 36 mesi.

 

Ai fini della legittima instaurazione del rapporto è sufficiente, pertanto, l'indicazione del termine che può risultare direttamente o indirettamente.

 

Tuttavia, la sussistenza di specifiche ragioni giustificatrici continua, anche nel nuovo quadro normativo, a sortire alcuni effetti; ad esempio, quando il lavoratore è assunto a tempo determinato per ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità. In tali ipotesi il contratto non è soggetto al limite quantitativo del 20 per cento di cui all’articolo 1, comma 1 e dell’articolo 10, comma 7, decreto n. 368 del 2001, nonché al pagamento del contributo addizionale dell’1,4 per cento previsto per tutti i contratti non a tempo determinato.

 

In tali casi, il Ministero del lavoro ritiene opportuno <<ai soli fini di “trasparenza”>> - che i datori di lavori continuino a far risultare nell'atto scritto la ragione che ha portato alla stipula del contratto a termine.

 

Analogamente, nel nostro settore, può risultare opportuno integrare l’atto scritto al fine di evidenziare la sussistenza delle fattispecie che consentono l’applicazione di disposizioni speciali più favorevoli (es.: fattispecie esenti da limiti quantitativi, deroga al limite dei 36 mesi, deroga alla disciplina del c.d. stop-and-go, deroga all’applicazione del contributo addizionale).

 

 

limiti quantitativi: limite legale e limite contrattuale

 

Il legislatore ha introdotto dei limiti di carattere quantitativo alla stipula dei contratti a tempo determinato. In particolare, il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non può eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione.

 

Secondo le indicazioni fornite dalla nota ministeriale, i limiti di legge trovano applicazione <<in assenza di una diversa disciplina contrattuale applicata>>.

 

Nel nostro settore, trovano pertanto applicazione le più favorevoli disposizioni dell’accordo 16 giugno 2014, ai sensi del quale il numero di lavoratori che può essere impiegato con contratto a tempo determinato in ciascuna unità produttiva, che viene così determinato:

 

base di computo

lavoratori a termine

 

 

0 - 4

4

5 - 9

6

10 - 25

7

26 - 35

9

36 - 50

12

oltre 50

20%

 

Ricordiamo inoltre che l’accordo del 16 giugno 2014 ha definito un quadro molto ampio di ipotesi in cui detti limiti non trovano applicazione (vedi oltre).

 

 

limiti quantitativi: fattispecie esenti

 

Il Ministero ricorda che, ai sensi dell'articolo 10, comma 7, decreto n. 368 del 2001, sono in ogni caso esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi:

  • nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;

  • per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell'elenco allegato al decreto Presidente della Repubblica n. 1525 del 1963;

  • per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;

  • con lavoratori di età superiore a 55 anni.

 

Quanto alle ragioni di stagionalità che possono determinare l‘esclusione dal computo del lavoratore a termine, ferme restando le ipotesi elencate nel decreto n. 1525, il Ministero chiarisce che ulteriori ipotesi possono essere rintracciate nell'ambito del contratto collettivo applicato.

 

Tale precisazione legittima le disposizioni dell’accordo 16 giugno 2014 il quale ha previsto l’esclusione anche per le ipotesi di cui all’articolo 83 del CCNL Turismo 20 febbraio 2010, concernente i contratti a termine stipulati a fronte di intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno (festività, religiose e civili, nazionali ed estere; manifestazioni; iniziative promozionali e/o commerciali; intensificazione stagionale e/o ciclica dell’attività in seno ad aziende ad apertura annuale).

 

Nel nostro settore sono altresì esclusi dal limite quantitativo anche i contratti a termine stipulati per cause di forza maggiore (articolo 84, CCNL Turismo 20 febbraio 2010), i lavoratori extra (articolo 93, CCNL Turismo 10 febbraio 2010) nonché le ulteriori ipotesi previste dalla contrattazione collettiva si secondo livello.

 

Il Ministero chiarisce infine che non concorrono al superamento dei limiti quantitativi le assunzioni di disabili con contratto a tempo determinato ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 68 del 1999 e le acquisizioni di personale a termine nelle ipotesi di trasferimenti d'azienda o di rami di azienda. In tale ultimo caso, i relativi rapporti a tempo determinato potranno essere prorogati nel rispetto della attuale disciplina, mentre un eventuale rinnovo degli stessi dovrà essere tenuto in conto ai fini della valutazione sul superamento dei limiti quantitativi.

 

 

limiti quantitativi: la base di computo

 

Il Ministero evidenzia che dalla base di riferimento per il computo del limite del 20 per cento devono essere esclusi i rapporti di natura autonoma o di lavoro accessorio, i lavoratori parasubordinati e gli associati in partecipazione, i lavoratori a chiamata a tempo indeterminato privi di indennità di disponibilità (per coloro i quali è prevista l'indennità, il computo avviene secondo la disciplina di cui all'articolo 39 del decreto legislativo n. 276 del 2003, ossia <<in proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto nell'arco di ciascun semestre>>).

 

Vanno, invece, conteggiati i dirigenti a tempo indeterminato e i lavoratori part-time secondo la disciplina di cui all'articolo 6 del decreto legislativo n. 61 del 2000 (<<i lavoratori a tempo parziale sono computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno così come definito ai sensi dell'articolo 1; ai fini di cui sopra l'arrotondamento opera per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno>>).

 

Rientrano nella base di riferimento per il computo della percentuale gli apprendisti, con esclusione di quelli assunti a tempo determinato per ragioni di stagionalità, come previsto dal CCNL Turismo ai sensi dell’articolo 4, comma 5 e dell’articolo 3, comma 2 quater, del decreto legislativo n. 167 del 2011 e successive modifiche ed integrazioni.

 

Con riferimento alle specifiche modalità di calcolo del limite quantitativo, si rammenta che per il nostro settore, l’accordo 16 giugno 2014 ha previsto che:

 

  • le frazioni di unità risultanti dal calcolo percentuale, si computino per intero (ad esempio, applicando la percentuale del venti per cento ad una unità produttiva con 71 dipendenti, si avrà un risultato pari a 14,2 e quindi la possibilità di assumere 15 lavoratori a tempo determinato, anche se la frazione è inferiore allo 0,5);

  • il calcolo del limite quantitativo sia riferito al numero di lavoratori iscritti nel libro unico del lavoro all’atto dell’attivazione dei singoli contratti a termine;

  • il calcolo del limite quantitativo sia riferito all’unità produttiva e non già alla totalità dei dipendenti (ad esempio, un’impresa aderente a Federalberghi che occupi complessivamente 60 lavoratori a tempo indeterminato, impiegati in due unità produttive da 30, potrà assumere 18 lavoratori a tempo determinato (9 in ciascuna unità), mentre l’applicazione della legge avrebbe comportato un numero massimo di 12 assunzioni a termine.

 

Il Ministero conferma inoltre la piena legittimità della scelta operata dalle parti sociali del settore turismo, che hanno rapportato i limiti quantitativi alla consistenza dell’organico alla data in cui avviene l’assunzione anziché al 1° gennaio dello stesso anno.

 

Relativamente ai limiti percentuali, la nota ministeriale chiarisce che il numero complessivo dei contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non costituisce un limite fisso annuale, ma rappresenta una proporzione tra lavoratori stabili e a termine, di modo che allo scadere di un contratto a termine è comunque possibile stipularne un altro sempre rispettando la percentuale massima di lavoratori a tempo determinato.

 

 

limiti quantitativi: disciplina sanzionatoria

 

In sede di conversione del decreto n. 34, quindi a far data dal 20 maggio 2014, il legislatore ha introdotto una specifica sanzione amministrativa a presidio dei limiti quantitativi di assunzioni con contratto a tempo determinato.

 

Ai sensi del nuovo comma 4 septies dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 368 del 2001, in caso di violazione del limite percentuale del 20% per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa:

 

  • pari al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno;

  • pari al 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno.

 

Il Ministero precisa che la sanzione amministrativa trova applicazione sia nel caso di violazione del limite legale del 20% sia nel caso di violazione del diverso limite previsto dalla contrattazione collettiva.

 

L'importo sanzionatorio è calcolato in base ad una percentuale della retribuzione spettante ai lavoratori assunti in violazione del limite e cioè gli ultimi assunti in ordine di tempo.

La retribuzione da prendere in considerazione è la retribuzione lorda mensile riportata nel singolo contratto di lavoro, desumibile anche attraverso una divisione della retribuzione annuale per il numero di mensilità spettanti. Qualora nel contratto individuale non sia esplicitamente riportata la retribuzione lorda mensile o annuale, occorre, invece, rifarsi alla retribuzione tabellare prevista nel contratto collettivo applicato o applicabile.

 

L'importo individuato attraverso l'applicazione della percentuale del 20% o del 50% della retribuzione lorda mensile, arrotondato all'unità superiore qualora il primo decimale sia pari o superiore a 0,5, deve essere moltiplicato, per ciascun lavoratore, per il numero dei mesi o frazione di mese superiore a quindici giorni di occupazione.

 

A tal fine, ogni periodo pari a trenta giorni di occupazione deve essere considerato come mese intero e, solo se i giorni residui sono più di quindici, deve essere conteggiato un ulteriore mese. Per periodi di occupazione inferiore ai sedici giorni, la sanzione non può trovare applicazione in quanto il moltiplicatore sarebbe pari a zero.

 

Peraltro, ai fini del calcolo del periodo di occupazione, non è necessario tener conto di eventuali sospensioni del rapporto, ad esempio, per malattia, maternità, infortunio o part-time verticale; ciò che conta è la data di instaurazione del rapporto e la data in cui è stata accertata l'esistenza dello sforamento.

 

La sanzione amministrativa, attesa l'insanabilità della violazione legata al superamento di un limite alle assunzioni a tempo determinato ormai realizzato, è soggetta alle riduzioni di cui all'articolo 16 della legge n. 689 del 1981.

 

Il legislatore stabilisce, inoltre, che il datore di lavoro che, alla data di entrata in vigore del decreto n. 34 (21 marzo 2014), abbia in corso rapporti di lavoro a termine che comportino il superamento del limite percentuale è tenuto a rientrare nel predetto limite entro il 31 dicembre 2014, salvo che un contratto collettivo applicabile nell'azienda disponga un limite percentuale o un termine più favorevole. In caso contrario, il datore di lavoro, successivamente a tale data, non può stipulare nuovi contratti di lavoro a tempo determinato fino a quando non rientri nel limite percentuale.

 

La sanzione non è invece applicabile, operando esclusivamente il divieto di assunzione a partire dal 2015, qualora tali datori di lavoro si limitino a prorogare i contratti già in essere.

 

 

proroga

 

Secondo la formulazione del comma 1 dell'articolo 4 del decreto n. 368 del 2001, il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a 3 anni.

 

In questi casi, le proroghe sono ammesse, fino ad un massimo di 5 volte, nell'arco dei complessivi 36 mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi, a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.

 

Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non può essere superiore ai 3 anni.

 

Il Ministero ribadisce che per "stessa attività lavorativa" si intende le stesse mansioni o le mansioni equivalenti.

 

Il nuovo istituto della proroga trova applicazione ai rapporti di lavoro costituiti a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legge n. 34 del 2014, ossia dal 21 marzo 2014.

 

I rapporti costituiti precedentemente a tale data erano e sono, quindi soggetti, al previgente regime, secondo il quale la proroga era ammessa una sola volta.

 

Il Ministero del lavoro ricorda che, in forza della iniziale formulazione del decreto legge n. 34 del 2014 le proroghe erano ammesse sino ad 8 volte e, quindi, è corretto l'operato di quei datori di lavoro che, durante il periodo 21 marzo-19 maggio 2014 (la legge di conversione, con modifiche, del decreto legge n. 34 del 2014 è entrata in vigore il 20 maggio 2014), abbiano effettuato sino ad un massimo di 8 proroghe.

 

Il Ministero interviene, poi, per spiegare la differenza fra proroghe e rinnovi contrattuali. In particolare, si ha la proroga di un contratto nel caso in cui, prima della scadenza del termine, lo stesso venga prorogato ad altra data. Si ha, invece, rinnovo quando l'iniziale contratto a termine raggiunga la scadenza originariamente prevista (o successivamente prorogata) e le parti vogliano procedere alla sottoscrizione di un ulteriore contratto.

 

 

diritti di precedenza previsti dalla legge

 

L'articolo 5, comma 4-quater, del decreto n. 368 del 2001 prevede un diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato per i lavoratori a termine che abbiano prestato attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi, diritto esercitabile in relazione alle assunzioni effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine e fatte evidentemente salve diverse disposizioni della contrattazione collettiva.

 

Al riguardo, il decreto n. 34 del 2014 stabilisce che per le lavoratrici, il congedo obbligatorio di maternità, di cui all'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 151 del 2001, intervenuto nell'esecuzione di un contratto a termine presso la stessa azienda, concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza in questione.

 

Alle medesime lavoratrici è riconosciuto, con le stesse modalità, il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine.

 

Rispetto alle tipologie legali dei diritti di precedenza disciplinati dai commi 4 quater e 4 quinquies dell'articolo 5, decreto n. 368 del 2001, ossia relativi alle assunzioni a tempo indeterminato, alle assunzioni a tempo determinato per le lavoratrici madri, alle assunzioni per lo svolgimento di attività stagionali, è previsto l'obbligo del datore di lavoro di richiamarli espressamente nell'atto scritto (articolo 1, comma 2, decreto n. 368 del 2001).

 

 

diritto di precedenza conferito autonomamente dal datore di lavoro

 

Il CCNL Turismo ha previsto che il datore di lavoro possa conferire al lavoratore la facoltà di esercitare il diritto di precedenza nella riassunzione anche quando tale facoltà non è prevista da disposizioni di legge o contrattuali.

 

Se il datore di lavoro conferisce tale facoltà, al relativo rapporto di lavoro non trovano applicazione le disposizioni concernenti il limite generale dei 36 mesi (comma 4 bis dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 368 del 2001) e l’obbligo di rispettare un intervallo tra un contratto a termine e il successivo (comma 3 dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 368 del 2001).

 

A differenza di quanto disposto dalla legge, il CCNL Turismo non ha previsto l’obbligo di richiamare tale diritto di precedenza nell’atto scritto con il quale, all’inizio del rapporto, si stabilisce l’apposizione del termine

 

E’ tuttavia opportuno che anche in questi casi il datore di lavoro - nel proprio interesse - faccia risultare il diritto di precedenza da un atto scritto, che può essere un atto distinto da quello previsto dal comma 2 dell’articolo 1 del decreto n. 368 del 2001.

 

Tenuto conto del fatto che per tal via si realizza la convergenza di due interessi (quello del lavoratore che beneficia di una prospettiva di maggiore continuità dell’occupazione e quello dell’azienda che può realizzare una gestione più efficiente) si ritiene che tale atto possa essere redatto anche in un momento successivo all’assunzione (nel corso del rapporto di lavoro o addirittura dopo la sua conclusione) purché precedente il momento in cui l’azienda usufruisce della disciplina derogatoria sopra richiamata.

 

Distinti saluti.

Il Direttore Generale

(Dr. Alessandro Massimo Nucara)

 

 

 


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